"Dov'è tuo fratello?" Il grido di Dio e di una comunità ferita dopo l'omicidio di Paolo
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Ore 10. La chiesa è piena. Di ragazzi soprattutto. Una comunità composta. Silenziosa.
La bara bianca di Paolo, sorretta da familiari e amici, entra in Cattedrale e ad accoglierlo, come in un abbraccio, ci sono le “nostre” Sante, Agnese, Ninfa, Cristina, Lucia e Oliva. Tutte giovani martiri e non tutti sanno che sono protettrici della città accanto alla patrona Santa Rosalia. E mi piace ricordare che Sant’Oliva era palermitana ed è simbolo della resistenza cristiana.
Ho preso posto in un angolino, in piedi, a metà della chiesa. Davanti a me un gruppo di amici di Paolo, qualche anno meno di lui, forse ex compagni di scuola; sono così affettuosi tra loro, quanti abbracci, quanti buffetti sulla guancia appena a uno si gonfiano gli occhi di lacrime. Sono quelli che vedete di spalle nella fotografia, l’unica che ho fatto.
Oggi ero lì da cittadina, da madre, da sorella. Da donna che fa parte di una comunità, quella palermitana e che prova dolore per quello che ha subito questa famiglia, per Paolo. Dolore per me stessa.
Le parole dell'Arcivescovo Corrado Lorefice sono state una carezza. Una frase mi ha colpito profondamente: “Quello che sentiamo sotto la croce non è il rantolo della morte ma il grido di una partoriente”. E ha poi ricordato come la donna che partorisce poi dimentica subito il dolore che ha provato per la gioia immensa del figlio nato.
Ma le parole dell'Arcivescovo sono state anche e soprattutto un monito, forte, chiaro, indiscutibile. Mosse da profonda compassione e desiderio di confortare. Parole di un Apostolo, la cui voce in più momenti si è rotta per la commozione. Eccole.
"Stamattina Paolo viene annoverato nella stirpe di Abele. Nel popolo immenso dei buoni, degli innocenti, dei pacifici che hanno offerto la loro esistenza per rispettare il senso ultimo della vita, quello di un essere originario senza violenza e senza sopruso.
Siamo fatti per la gioia della convivialità. Per questo uccidere il fratello è il principio della guerra, della divisione. Ma la parola di Dio continua a ripetere anche: "Non uccidete Caino, non uccidete".
La giustizia deve fare il proprio corso fin quando la realtà dei fatti va appurata, rispettata e chiamata per nome ma scacciamo dal nostro cuore la voglia di uccidere Caino, la cattiveria e la violenza non giustificano nessuna risposta altrettanto violenta. Vale per la nostra Palermo e vale per la casa comune, la terra sulla quale dobbiamo vivere sempre come ospiti e mai come proprietari.
Il riscatto non verrà da altra violenza, ma dal levarsi del desiderio di pace e di giustizia nella vita e nel cuore di noi palermitani.
Figlie, figli miei amatissimi, amici, amiche, non sono gli eserciti, non sono solo le forze di polizia, con il loro pure incomiabile servizio a cui siamo gratissimi, che potranno usurpare la violenza omicida. Possiamo essere solo noi insieme. Può essere solo Palermo tutta a mettere fine alla spirale della violenza, attingendo alle sue energie interiori, alla sua storia, alla sua umanità bella come quella di Paolo.
Come scrivevamo con il carissimo arcivescovo di Monreale, monsignor Gualtiero Isacchi, non si tratta solamente di presidiare e mettere a soqquadro i quartieri a rischio o i luoghi della movida, bensì di essere presenti tutti insieme, a cominciare dalle istituzioni civili, militari, scolastiche, religiose, con una politica della cura dei cittadini più fragili, fragili per mancata equa destinazione di beni, lavoro, casa, pane, per accesso alla cultura, per opportunità occupazionali e di crescita umana e spirituale. Essere presenti nelle vicende lievi e tristi che si vivono nelle case, nelle strade, nei quartieri. Abbiamo bisogno di rivedere le nostre politiche sociali, urbanistiche, di sviluppo culturale ed economico, le nostre scelte religiose anche, che tradiscono Dio e il suo sogno se restano prigioniere dei luoghi di culto e delle sacristie.
Ecco allora il senso del nostro essere qui oggi a celebrare l'eucarestia con Paolo e per Paolo. Con voi, suoi cari congiunti, prima di tutto in silenzio, di fronte allo sterminio del dolore, di fronte allo sterminio provocato dalla violenza e poi, poi lo sguardo. Per chi volge lo sguardo da Paolo, da tutti gli uccisi, dalle armi, dalle bombe, dai governatori di poteri – Erode non muore mai – verso Gesù sulla croce. Per chi volge lo sguardo da Paolo verso Gesù sulla croce, nella notte più buia comincia ad accendersi una fiammella, una piccola luce. Paolo risorgerà, e rivedrà la vita e la comunione eterna.
Noi cristiani crediamo che la vita non finisce con l'ultimo respiro. Vita eterna, comunione eterna. Se lo dimentichiamo, lo dimentichiamo perché non c'è più Dio nella nostra vita! E ci sono gli idoli che ci schiavizzano, che ci illudono, che ci fanno diventare aggressivi!
Tutti i morti, tutte le vittime rimangono vive nel cuore di Dio e nel cuore di coloro che hanno amato e amano. In questo filo di luce noi speriamo che tutta l'umanità possa ascoltare la domanda di Dio, quella iniziale della prima pagina del libro della Genesi. “Dov'è tuo fratello? Dov'è il tuo fratello?” .
Perché ascoltandola possiamo essere capaci di piangere di dolore, sollevarci all'altezza dello sguardo e di diventare custodi delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, di tutti, tutti.
Sii custode di tuo fratello. Non lasciamo che a vincere sia il demone della violenza. Il suo frutto avvelenato è un morte che si espande.
Basta violenza! Basta uccisioni! La morte, se non è ospitata da un grembo di accoglienza e di perdono, genera altra morte, perché solo l’ amore dà senso alla vita e solo l'amore di Dio e dei suoi genitori continua a dare vita a Paolo. Il vostro amore.
Torniamo a educare a coinvolgerci, a costruire relazioni, a impiegare energie per ritrovare un senso comunitario della vita.
A visioni di governo delle città, di questa nostra tormentata città di Palermo, nel segno dell'umanità e con uno sguardo dal basso serviamo la vita. Ogni vita è sacra, ogni volto è il centro della città, destinatario di attenzione e cura.
Le periferie le creiamo noi uomini. Quando abbiamo dimenticato che il centro è l'uomo e la sua dignità.
Speriamo con tutte le nostre forze che il dolore per il male operato e il pentimento convertano e facciano rinascere tutti gli operatori di violenza nella città e nella casa comune, ferita da un insensato sfruttamento delle risorse, da conflitti e guerre. Lo chiederemo celebrando la morte della resurrezione di Cristo Crocifisso, facendo memoria della sua Pasqua. Questa è la messa. Questa è la messa.
Fare memoria di colui che ha vinto l'odio e la morte donando per amore la sua vita. Sì, chi offrendo a lui, a Cristo Crocifisso, il corpo di Paolo che è tra le braccia delle persone amate. Ma lo crediamo fermamente anche nelle braccia del Padre celeste che lo accoglie, del Figlio morto in croce e risorto che lo abbraccia, dello Spirito Santo che consola e dona il perdono.
Io, cari Giuseppe, Fabiola, Sofia e Mattia, come ho fatto all'inizio, a nome di tutta la chiesa di Palermo, rimango in preghiera e vi avvolgo nel mio fraterno abbraccio".
Corrado Lorefice ci ha invitato tutti sabato alle 21 allo Zen, nell’atrio antistante la Chiesa “S. Filippo Neri”, in via Fausto Coppi per ricordare Paolo e gli altri giovani vittime di violenza.
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